I figli non sono mai esistiti

1 novembre 2011
 Giuseppe D'Angelico impressionista, noto come Pino Daeni

Kahlil Gibran fu un’artista con quel talento tipico dei poeti geniali di riassumere in un termine il macrocosmo umano, leggendo alcuni suoi pezzi non posso fare a meno di ricordare che presso gli antichi i poeti erano sacri portatori delle parole divine, e in effetti in un termine sono capaci, alcuni, di concentrare il tutto.
Questo poeta libanese a cavallo tra l’ottocento e i primi del novecento scrisse alcuni pensieri che potrebbero diventare dogmi religiosi ancora oggi. E parlando con qualcuno mi è tornata in mente proprio una di queste perle.
I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi,
e non vi appartengono benché viviate insieme.
Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri,
poiché essi hanno i loro pensieri.
Potete custodire i loro corpi, ma non le anime loro,
poiché abitano case future, che neppure in sogno potrete visitare.
Cercherete d’imitarli, ma non potrete farli simili a voi,
poiché la vita procede e non s’attarda su ieri.
Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccate lontano.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito, e con la forza vi tende,
affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
In gioia siate tesi nelle mani dell’Arciere,
poiché, come ama il volo della freccia, così l’immobilità dell’arco.

Credo fermamente in tutti i concetti che espresse in queste poche frasi: il futuro che non s’attarda, il passato costretto ad imitarlo, l’assoluta verità che un figlio è solo un individuo e non il prolungamento di un altro individuo, che appartiene a se stesso e alla sua vita e non a quella che lo ha generato, e la nobiltà di chi rimane a guardarlo esistere senza volerne rubare l'esistenza.
Eppure secondo molti figli devono restare con i genitori, devono amarli, devono far regnare la concordia in famiglia, devono comprendere il genitore e devono tollerare. La cultura italiana, il valore della famiglia, il metro di giudizio degli affetti famigliari. Il futuro costretto a rivolgere lo sguardo al passato che inevitabilmente inciampa. Essendo la sua stessa essenza costretta in avanti, a se stesso, al futuro stesso.
Gibran, da grande conoscitore dell’animo umano, cresciuto tra Islam, Cristianesimo e ideologie americane, è quasi iniziatico in questi pochi versi: dice una grande ovvietà compresa però solo da pochissimi.
Figlio è solo una parola, sopra la quale culture intere costruiscono una filosofia di vita, di pensiero e quindi di emozioni. Passando poi l’esistenza nella frustrazione affettiva perché la natura, innegabile, di questa parola è l’allontanarsi. Per lo meno se il genitore è un buon genitore, cosa di cui andare fieri come suggerisce la fine della poesia.
Un sacrificio quello del figlio di abbandonare la sicumera della casa d’origine. Un sacrificio quello del genitore di restare immobile ad osservare senza intervenire la freccia che parte, veloce, lontana, verso la vita. Una vita che non si sa come andrà, non si può sapere, non si deve provare a controllare o indirizzare per amore. Perché nel momento in cui la freccia abbandona l’arco non è più governabile. Una questione fisica, naturale, biologica ed ineluttabile da qualsiasi angolazione la si voglia osservare.
Nell’altra cultura, quella che sfida ogni legge fisica, naturale, biologica inevitabilmente restando delusa e ferita “amore figliale” significa “responsabilità d’accudimento” rivoltando i ruoli, diventando figli dei figli, costringendo a responsabilità che un figlio non può prendersi, a sentimenti che un figlio non può provare, a comportamenti che un figlio non può avere.
Gli antropologi e gli psicologi hanno a lungo analizzato il potere di dipendenza che i bambini sono in grado di creare. Al di là del trovarli piacevoli o molesti un adulto sano di mente non riesce ad aggredirli. Perché? Sembra che accada per la loro struttura fisica, le orecchie oblique, gli occhi smisuratamente grandi, la testa enorme rispetto al tronco, gli arti grassi, la pancia prominente, la bocca carnosa, i nasi piccoli istigano istintivamente a più miti comportamenti. Le donne conservano alcuni di quei tratti, in gravidanza ne accentuano altri, costringendo biologicamente il maschio umano ad una minore aggressività.
Ma un genitore non ha alcuno di quei tratti. Un anziano non possiede ciò che istintivamente porta all’accudimento e alla pazienza. Intellettualmente rispettiamo la sua conoscenza, la sua eventuale saggezza, e nel farlo lo si interpreta come punto di riferimento, come “responsabile della conoscenza”, ancora come colui che ha delle responsabilità e non che le delega. Questo processo mentale, non istintivo (la rupe spartana, s'accabadora la donna della morte sarda sono solo alcuni esempi di culture che vedono la vecchiaia come limite a cui con pietà porre fine), offre agli anziani dei vantaggi ma in cambio di una utilità, che non va confusa quindi con un dovere essendo uno scambio, e che non è accudimento ma rispetto.
Un figlio non deve nulla ad un genitore. Per questo la sua presenza, il suo chiedere consiglio, il suo portarsi nel futuro il passato è un prezioso dono da rispettare e meritare. Come è da rispettare e meritare il genitore che fiducioso ed equilibrato consideri la sua prole individui prima che figli, lasciandoli quindi andare per la loro strada senza pretenderli di controllarla.

Tutti sappiamo che i figli sono individui, pochi sanno che l’ansia di perderli non è un problema loro. Che un figlio adulto non è più un figlio, e che la parola serve solo per indicare che lo è stato. Che proviene da te, che è merito tuo se è la persona che è.
“Credi che mio figlio smetterà di essere mio figlio da grande?”
Non lo credo, è così.
E’ come domandarmi se credo che invecchierò. Certo che invecchierò, il tempo non si ferma perché io lo voglio e questo mi insegna a non volerlo. Oppure morirò prima, il futuro non crescerà, non invecchierà e non sarà più.
Ma questa è un’altra triste, tragica, inaccettabile questione. Una riguarda la vita, l’altra la morte.
Vita e morte convivono, ma una freccia spezzata dal vento mentre l’arco rimane giovane è inaccettabile. Noi però parliamo di una freccia che portata dal vento raggiunge il suo imprevedibile ed incontrollabile traguardo.

Il Tempo apre le sue porte in questi giorni. Per ricordarci che esistono delle porte. Per mostrarci che queste porte non possono essere aperte dagli uomini. E per farci comprendere che nulla ha il potere di invertire il flusso naturale di chi o cosa passa attraverso tali porte.
Neanche il Tempo.

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